Martedì 14 aprile – Humanitas Cellini
Tanto si parla dei medici e infermieri in prima linea nella lotta al Covid-19, meno si dice di chi copre loro le spalle dedicandosi con altrettanto spirito di sacrifico e adattamento a pazienti e situazioni mai viste prima. In Humanitas Cellini, lo tsunami del Coronavirus ha, tra le altre cose, trasformato il reparto di Urologia e Chirurgia uretrale al primo piano della Clinica in una cosiddetta “degenza mista”, con pazienti di Chirurgia generale, Medicina interna, Cardiologia e Riabilitazione, tuti provenienti da Humanitas Gradenigo.
Nove infermieri, sette dei quali molto giovani, fiondati in un mondo nuovo, distante assai dalla routine dei giorni di sempre. «Il mio reparto, e dico “mio” perché da sempre lo sento tale, lavora di norma con le tre équipe mediche di Urologia della Clinica facendosi carico dell’assistenza dei pazienti operati. Nel corso di una notte è cambiato tutto e, la mattina dopo, abbiamo rapidamente preso confidenza con medici e pazienti nuovi». Chi parla è Valeria Esposito, tenace coordinatrice infermieristica di Humanitas Cellini: i medici “nuovi” sono invece quelli di Humanitas Gradenigo, gioco forza costretti a trasferire i propri ricoverati per consentire al proprio Ospedale di dedicare cento posti letto ai malati di Covid-19.
«Com’è andata? Molto bene. E io sono davvero orgogliosa per quanto abbiamo fatto e stiamo facendo. Di solito, i nostri pazienti lasciano la Clinica dopo soli due giorni, questi richiedono un altro tipo di assistenza che coinvolge tutti in modo totale». Valeria si riferisce soprattutto all’esperienza vissuta dagli infermieri più giovani: «Per loro, una paziente cardiologica monitorizzata e un’altra quasi intubata prima di venire trasferita in Terapia intensiva hanno rappresentato altrettante novità». Come il decesso avvenuto in reparto: «Vederlo riflesso negli occhi dei ragazzi l’ha reso ancora più significativo». Anche perché sono gli stessi infermieri che, dal primo momento, avevano manifestato la volontà di mettersi al servizio dell’emergenza e di lavorare nei reparti Covid-19: «Li abbiamo accontentati inserendoli, due alla volta, nei turni del reparto che Humanitas Cellini ha riservato ai pazienti affetti dal Coronavirus».
Come ci si sente a trattare un paziente non Covid-19 nei giorni in cui il mondo pare concentrato solo su chi ha contratto il virus? «Nell’aria c’è una sensibilità tale che rende naturale assistere chiunque nel modo più attento possibile. I nostri nuovi pazienti li stiamo coccolando e anche di più. Detto che i parenti non possono entrare neanche qui, ci spendiamo al massimo delle nostre possibilità per garantire un contatto quotidiano e caldo. Un esempio? La videochiamata alla famiglia per far vedere il paziente finalmente in piedi grazie al girello speciale fatto arrivare da Humanitas Gradenigo». Momenti che rimarranno indelebili per i più giovani, ma anche per chi non si fa problemi ad ammettere una scorza più dura: «Questi pazienti ce li porteremo dentro per un po’ di tempo, anche perché alcuni di loro erano complicati come le loro storie. Io faccio il mio lavoro con amore e così lo faccio fare agli altri. Ho cominciato a 19 anni e mi ritengo uno specchio perché non nascondo mai quel che penso: il nostro contributo per il Covid-19 è stato questo ed è stato molto importante e formativo».