«Rappresenta ancora l’ultima soluzione che viene proposta al paziente ma presenta una serie di punti di forza, capaci di garantire una buona vita sociale per parecchi anni», afferma il dottor Luigi Milano, responsabile del servizio di Chirurgia del piede e della caviglia della Clinica Cellini
«Ancora oggi la protesi di caviglia rappresenta l’ultima soluzione, quella che si propone al paziente quando la caviglia è irrimediabilmente compromessa e porta con sé dolore e rigidità dovute al consumo delle cartilagini. Tuttavia, rispetto a non molti anni fa, è un intervento che viene consigliato anche ai pazienti giovani perché è in grado di assicurare loro una vita sociale e, addirittura, una pratica sportiva. La protesi non durerà tutta la vita ma garantirà per parecchi anni una certa qualità di vita e, quando sarà necessario, permetterà alla caviglia di essere operata anche una seconda volta, magari con un intervento di artrodesi». Parola del dottor Luigi Milano, responsabile del servizio di Chirurgia del piede e della caviglia della Clinica Cellini, uno tra i principali esperti di una pratica chirurgica che in Italia conta numeri ridotti ma importanti. «Ogni anno – conferma il dottor Milano – si eseguono nel nostro Paese circa 300 interventi di protesi di caviglia, una quindicina di questi vengono effettuati alla Clinica Cellini che attrae pazienti da tutto il Piemonte».
«Quello di protesi di caviglia non è un intervento banale – continua il dottor Milano -, soprattutto perché la caviglia è un’articolazione dalla biomeccanica particolare. Ha una superficie molto piccola che subisce sollecitazioni importanti legate al carico che ciascuno di noi produce a ogni passo. Inoltre, a differenza di ginocchio e anca che sono isolate, la caviglia è inserita in un contesto di collegamento tra gamba e piede, messi a loro volta in contatto dall’articolazione tibio-tarsica». Ecco perché programmare un intervento di protesi di caviglia non è così semplice: «Occorre mettere in conto una serie di fattori che tengono conto, ad esempio, dell’assetto del piede o delle condizioni delle estremità di tibia e perone». Non si tratta infatti di un’operazione accessibile a tutti: «Tra le controindicazioni – conferma il dottor Milano – figura quella che la vuole negata a chi ha un’articolazione molto instabile o che presenta deviazioni così importanti da averla resa deforme. Idem quando le parti molli dell’articolazione sono state compromesse o quando è presente molta osteoporosi. Questi sono i casi in cui l’intervento di protesi di caviglia non è consigliato».
Il paziente che avrà subito un intervento di protesi di caviglia porterà una doccia gessata per un paio di settimane, dopodiché comincerà a caricare sull’articolazione con il sostegno di un tutore che, dopo l’adeguata fisioterapia, abbandonerà in un paio di mesi. «Il dolore scompare quasi sempre del tutto – puntualizza il dottor Milano -. Il recupero dipende molto dalle condizioni di partenza della caviglia. È difficile recuperare il movimento completo di flesso-estensione e rotazione quando i tessuti si sono abituati a restrizioni, ecco perché l’intervento è più indicato per le caviglie e che hanno ancora un discreto movimento. In quest’ultimo caso il recupero è di norma molto buono».
Per chi non avesse le credenziali indicate, l’alternativa alla protesi rimane sempre l’intervento di artrodesi: fa scomparire il dolore ma blocca la caviglia. «È ancora oggi l’operazione che si esegue con maggior frequenza – conclude il dottor Luigi Milano -, in quanto non presenta particolari controindicazioni e, a differenza della protesi, si può effettuare praticamente con qualsiasi caviglia. Una protesi di caviglia usurata dal tempo può peraltro essere convertita in artrodesi».