Grazie alle informazioni accurate che fornisce il test del microbiota si può migliorare la salute della flora batterica intestinale attraverso la dieta.
In tutti i congressi sulle nuove frontiere della gastroenterologia si parla ormai di test del microbiota intestinale. Il microbiota è l’insieme di microrganismi e batteri che si trovano all’interno del nostro intestino. Il test del microbiota è lo studio genetico della flora intestinale, serve a dare indicazioni precise sull’enterotipo (il tipo di batteri presenti) e aiuta a inquadrare il paziente (enterotipo di tipo fermentativo, putrefattivo o misto). Il dotto Matteo Goss, gastroenterologo e chirurgo endoscopista di Humanitas Cellini, ritiene che «la lettura del microbiota può orientare il gastroenterologo in tante scelte: quali fermenti lattici usare, quali terapie somministrare, quali alimenti consigliare. Permette di individuare i pazienti che mangiano poca frutta e verdura, troppa carne rossa o magari poche carni bianche e sono quindi carenti di vitamina D. Il test aiuta a capire se il paziente mangia poche fibre, quindi introducendo ad esempio la pasta integrale dopo qualche mese arrivano i miglioramenti. Si tratta di un esame che segna sempre l’inizio di un percorso».
Seguendo i consigli su alimentazione e stili di vita che vanno a potenziare il microbiota, i miglioramenti nella salute del paziente avvengono mediamente in sei mesi. Ma le nuove buone abitudini vanno mantenute nel tempo, altrimenti il microbiota tende a ripristinare la condizione patologica.
Come si fa l’analisi del microbiota intestinale?
«Ci sono cinque o sei aziende in Italia che analizzano il microbiota: un campione di feci viene mandato in uno di questi laboratori, che procede al sequenziamento genetico della flora batterica intestinale. Dal laboratorio arriva un report con moltissimi dati e informazioni: descrizione della flora batterica, presenza di stress ossidativo, eventuali alterazioni della barriera intestinale eccetera».
È un esame che richiedono i pazienti oppure viene proposto dal medico?
«I giovani lo chiedono esplicitamente, il paziente più anziano un po’ meno, e non è ancora diffuso neanche tra molti medici. Ma è davvero utile e quando si comincia a usarlo in clinica si toccano con mano il suo risvolto pratico e l’aiuto che può dare nella scelta delle terapie».