Cos’è la malattia di Crohn?

La malattia di Crohn è un’infiammazione intestinale cronica che può danneggiare le pareti di tutto il tratto gastrointestinale e a cui possono concorrere cause multifattoriali. 

I pazienti che ne sono affetti possono presentare ulcere intestinali alternate a tratti di intestino sano, ma anche complicanze come stenosi e fistole che possono richiedere un intervento chirurgico di correzione.

L’insorgenza, o la riacutizzazione, della malattia possono essere segnalate da sintomi vari, anche extra-intestinali. 

Nella maggior parte dei casi, il trattamento richiede una terapia immunomodulante e un monitoraggio regolare.

Di cosa si tratta?

La principale caratteristica della malattia di Crohn è l’infiammazione persistente dell’intestino, che può estendersi dalla bocca all’ano, pur interessando principalmente l’ileo e il colon nella maggior parte dei casi. 

Le ulcere intestinali, che sono un segno di infiammazione, possono aggravarsi in restringimenti intestinali (stenosi) o fistole; indipendentemente dal fatto che la malattia possa comunque ripresentarsi, tali complicanze spesso richiedono un intervento chirurgico. Nonostante ciò, con la giusta terapia e un monitoraggio regolare, i pazienti spesso riescono a condurre una vita normale e a gestire la propria condizione.

Quali sono le cause?

Ancora non è stata identificata una causa esatta della malattia, ma si sospetta il ruolo dei seguenti fattori:

  • predisposizione genetica;
  • fattori ambientali;
  • fumo;
  • alterazioni della flora batterica;
  • alterazioni della risposta immunitaria intestinale. 

Tuttavia, la malattia di Crohn non è trasmessa o causata da geni, anche se alcuni di essi sembrano essere coinvolti.

Quali sono i sintomi associati?

I sintomi della malattia di Crohn variano a seconda della zona interessata, ma solitamente comprendono diarrea persistente (per più di 4 settimane), crampi e dolori addominali, perdita di sangue misto alle feci, febbricola e dolori articolari. I pazienti che ne sono affetti possono sperimentare anche un calo di peso notevole, e presentare fistole, ascessi di pus o altri sintomi a livello peri-anale. 

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la malattia di Crohn è asintomatica e viene diagnosticata in occasione dello svolgimento di altri esami.

Come prevenirla?

Seppur non sia possibile prevenire l’insorgenza della malattia di Crohn, l’obiettivo raggiungibile è evitare che l’intestino si deteriori e che si presentino le complicazioni sopra descritte. 

In particolare, in presenza dei sintomi menzionati, è importante:

  • svolgere esami del sangue, delle feci e un esame non invasivo dell’addome (ecografia, entero-RMN o entero-TC) per ottenere una diagnosi precoce. Ciò vale ancora di più per coloro che hanno sofferto di malattie autoimmuni. 
  • seguire rigorosamente il percorso terapeutico e di monitoraggio prescritto dal medico. 
  • per prevenire le neoplasie intestinali, eseguire una colonscopia con biopsie seriate o una cromoendoscopia indicativamente ogni 2-3 anni e a partire da 8-10 anni dall’inizio dei sintomi intestinali, in caso di malattia di Crohn estesa nel colon. 
  • al fine di evitare infezioni, vaccinarsi ogni dodici mesi contro l’influenza, ogni cinque anni contro lo pneumococco, ogni anno contro l’herpes zoster, contro l’epatite B (una volta ricevuta la diagnosi) e l’HPV.

Come si ottiene una diagnosi?

Per valutare lo stato della mucosa intestinale e trovare segni di infiammazione (acuta o cronica, come alterazioni tissutali a livello strutturale), viene utilizzata una colonscopia con visualizzazione dell’ileo e biopsie multiple

Al fine di esaminare in modo non invasivo la parete intestinale ed escludere o identificare eventuali complicanze della malattia di Crohn, l’esame più indicato è una biopsia addominale con esame delle anse intestinali. Può anche essere vantaggioso a fini di monitoraggio durante la terapia. 

La cromoendoscopia con coloranti in vivo o digitale (durante la colonscopia) consente di visualizzare con più precisione le aree sospette di displasia del colon. 

Per la diagnosi di malattie dell’intestino superiore, lo specialista può prescrivere un’esofagogastroduodenoscopia, mentre l’enteroscopia con videocapsula serve a diagnosticare lesioni del piccolo intestino (cosa che la colonscopia non può fare). 

La possibilità di eseguire biopsie e il rischio di ritenzione in caso di stenosi intestinali, tuttavia, sono due suoi limiti. 

L’Entero-RMN è una risonanza magnetica addominale non invasiva che utilizza un mezzo di contrasto per localizzare l’infiammazione, identificare eventuali complicanze ed esaminare l’attività infiammatoria e la sua diffusione. Inoltre, non espone il paziente ai raggi ultravioletti. Sebbene sia utile come l’esame sopra, l’entero-TC con mezzo di contrasto espone ai raggi X e quindi il medico ne valuterà l’adeguatezza caso per caso.

La Risonanza magnetica della pelvi viene invece utilizzata per trovare fistole o raccolte nei tessuti peri-anali. La chirurgia sotto anestesia può essere occasionalmente richiesta per scopi diagnostici e curativi.

Cosa prevede il trattamento?

L’obiettivo terapeutico è alleviare lo stato infiammatorio alterando i processi cellulari e molecolari dell’intestino e del sistema immunitario

Il medico, in base alle caratteristiche individuali del paziente, può prescrivere:

  • steroidi sistemici o a bassa biodisponibilità che funzionano contro l’infiammazione e regolano il sistema immunitario. 
  • per rimuovere una parte dei globuli bianchi attivati responsabili dell’infiammazione, vengono prescritti farmaci che sopprimono l’immunità, come azatioprina o 6-mercaptopurina. 
  • il metotrexate distrugge la maggior parte dei globuli bianchi attivati attraverso il suo effetto immunosoppressore. 
  • per il trattamento di fistole perianali complesse e refrattarie alle altre terapie, sono utilizzate cellule staminali mesenchimali adulte umane allogeniche espanse estratte da tessuto adiposo (allogeneic expanded adipose-derived mesenchymal stem cells, eASC – darvadstrocel). 
  • infliximab, adalimumab, golimumab, vedolizumab e ustekinumab sono esempi di farmaci biologici costituiti da anticorpi monoclonali che bloccano selettivamente alcune delle molecole principali responsabili dello stato infiammatorio. 

Qualora vi siano complicanze della malattia, possono essere somministrati antibiotici intestinali come fluorochinolonici, metronidazolo e rifaximina. L’operazione chirurgica si rende necessaria nel caso in cui la terapia farmacologica non dia l’effetto sperato. I farmaci sperimentali possono essere un’opzione in centri d’eccellenza selezionati in caso di partecipazione a studi clinici dedicati.