Nuovo ambulatorio di Diabetologia per Humanitas Cellini: «Modificare alcune semplici abitudini di vita può rallentare l’esordio della malattia e le sue complicanze», spiega la dottoressa Marina Caccia, specializzata in endocrinologia e Scienza dell’alimentazione.
«Il diabete rappresenta una vera e propria “patologia sociale”: incidenza e prevalenza della malattia sono in costante crescita, così come la fascia di popolazione che ne viene colpita. Il diabete di tipo 2, malattia metabolica pari a circa il 90 per cento del totale dei casi, può essere rallentato attraverso una serie di accorgimenti che il medico specialista ha il compito di indicare al paziente». La dottoressa Marina Caccia, specialista in Endocrinologia e Scienza dell’alimentazione, è titolare nel nuovo ambulatorio di Diabetologia di Humanitas Cellini.
Dottoressa Caccia, come si rallentano gli effetti del diabete?
«È molto importante agire in modo preventivo, andando a modificare alcuni comportamenti di vita per dilazionare l’esordio vero e proprio della malattia e delle sue complicanze. Il diabete è un continuum: si comincia con un’insulino-resistenza che, a un certo punto, induce il pancreas a reagire e a produrre più insulina, quando questa non basta più occorre intervenire con i farmaci. Se il medico interviene tempestivamente, il paziente può invece allontanare le complicanze del diabete fino a farle sovrapporre con quelle, inevitabili, legate all’età».
Come interviene lo specialista?
«Con un piano dieto-terapico attraverso il quale si spiega al paziente come comportarsi a tavola per abbassare l’indice glicemico dei pasti e come regolarsi nella vita di tutti i giorni con un’attività fisica più aerobica che rivolta al potenziamento muscolare. Se non basta, si può ricorrere a una terapia farmacologica da assumere per via orale o, in alcuni casi, sottocute. Si cerca comunque di non arrivare all’insulino-terapia».
Perché questo trattamento funziona?
«Il trattamento fa la differenza perché interviene sui meccanismi di stanchezza del pancreas e va proprio alla fonte della causa dell’iperglicemia. Certo, osservare le indicazioni del piano dieto-terapico risulta molto più impegnativo che prendere una pastiglia ma, oltre a farci bene, ci fa anche sentire meglio in quanto la percezione di benessere legata all’attività fisica è molto gratificante. So bene che trovare il tempo per l’attività fisica è molto difficile: le necessità di lavoro e quelle conviviali ci spingono a rinunciare a quell’ora di tempo che avevamo pensato di riservarle. Il segreto può essere allora quello programmare più momenti da dedicare al movimento: se li teniamo presenti e i consideriamo importanti, troveremo la soluzione e il tempo necessario».
E da un punto di vita strettamente dietetico?
«Non ci sono ricette miracolose. Si tratta di mangiare in modo equilibrato e di prendere in considerazione le indicazioni dell’Istituto dei Tumori: cinque porzioni al giorno di frutta e verdura che, nel caso di iperglicemia, andrebbero più orientate sulla verdura. Del resto, anche gli immunologi sottolineano oggi l’importanza della parte dieto-terapica: l’insulino-resistenza promuove l’infiammazione a bassa soglia. Una volta questo tipo di diabete veniva definito senile perché esordiva in età piuttosto avanzata, oggi tende invece ad anticipare perché facciamo una vita più sedentaria e, soprattutto, perché abbiamo a disposizione una quantità eccessiva di alimenti malsani».
Quando e perché il cibo può risultare decisivo?
«Penso soprattutto alla grande distribuzione che propone tantissimi alimenti carichi di additivi utilizzati per mantenerli freschi, fragranti e croccanti per mesi. Si tratta di sostanze che hanno un alto indice glicemico: lo sciroppo di glucosio o quello di fruttosio inducono l’insulino-resistenza, quest’ultima favorisce quell’infiammazione a bassa soglia che rappresenta l’origine di quella sensazione di malessere apparentemente inspiegabile. È questa disponibilità di cibo di bassa qualità a far sì che la diagnosi di iperglicemia venga oggi sempre più anticipata. Ma ci pensate? Una volta se volevamo una torta dovevamo farcela o andare in pasticceria, oggi la troviamo dappertutto e in qualsiasi momento. Idem con il gelato: prima dovevamo almeno uscire di casa e fare due passi per comprarlo, oggi possiamo mettere in freezer tutte le vaschette che vogliamo».
Questo meccanismo può essere pericolo per i bambini?
«Sui bambini è molto deleterio: attraversano un’età in cui si è molto più fragili e si instaurano le usuali abitudini alimentari. Una cattiva abitudine diventa poi difficile da sradicare e può comunque produrre danni in età adulta. Ecco perché i genitori devono stare molto attenti alla dieta dei propri figli».
Un consiglio finale per vivere la dieta nel modo giusto?
«Premesso che oggi ogni impegno sociale diventa un’occasione conviviale e gli amici li vediamo sempre più spesso a tavola, a casa come al ristorante, la dieta non va vissuta come un fattore restrittivo ma come qualcosa che ci fa stare meglio e che scegliamo per il nostro piacere e benessere: mangiare meno e mangiare meglio è un regalo che ci facciamo per stare bene, non un’imposizione del medico. Continuiamo a vedere gli amici ma prendiamo anche in considerazione l’idea di andare assieme a loro a fare una passeggiata o qualcosa che non sia preparare cene.