Alla base di questa problematica potrebbero esserci molteplici problematiche, per questo motivo è importante sottoporsi ad altri accertamenti. L’intervista al dottor Matteo Goss su Starbene
La presenza di sangue nelle feci va sempre indagata, perché potrebbe essere il segnale di un problema a carico del tratto digerente. Talvolta, però, le tracce ematiche non sono visibili a occhio nudo, ma sono individuabili soltanto al microscopio con uno specifico test di laboratorio: «In questo caso si parla di sangue occulto, definito tale perché non si vede, ma sempre da considerare un evento patologico», racconta il dottor Matteo Goss, gastroenterologo di Humanitas Cellini. «L’entità del sanguinamento non è strettamente correlata alla gravità della patologia che lo provoca: è sufficiente che l’esame dia esito positivo per accendere un campanello di allarme».
Cos’è il sangue occulto nelle feci?
In caso di piccole perdite ematiche a livello del tubo digerente, il sangue viene espulso con le feci ma non ne altera il colore, per cui è invisibile a occhio nudo. Di solito, questa perdita è asintomatica, può provenire da qualsiasi tratto dell’apparato gastrointestinale e può essere rilevata unicamente con un esame chimico sulle feci. Esistono due metodi di indagine: il test al guaiaco, che misura la porzione non proteica dell’emoglobina, ossia il gruppo eme, presente nelle feci; il test immunochimico, che individua il sangue nelle feci mediante degli anticorpi diretti contro l’emoglobina umana. «Da qualche anno, si associa spesso la ricerca del DNA fecale, che analizza alcune cellule della mucosa di rivestimento dell’intestino per rilevare la presenza di specifiche mutazioni in diversi geni correlati all’insorgenza del tumore del colon», descrive il dottor Goss. «L’unico limite di questo test è un’eccessiva sensibilità, per cui è elevato il rischio di falsi positivi».
Quali sono le cause del sangue occulto nelle feci?
È piuttosto lunga la lista di possibili condizioni che rendono positiva la ricerca di sangue occulto nelle feci: polipi del colon, emorroidi, ragadi anali, diverticoli, infezioni intestinali che causano infiammazione, ulcere gastriche, anomalie dei vasi sanguigni. «Teniamo conto che la ricerca del sangue occulto risulta positiva più spesso rispetto al passato perché oggigiorno sono molti i pazienti che assumono terapie anticoagulanti o antiaggreganti: l’utilizzo di questi farmaci, infatti, mette in risalto precocemente alcune lesioni, perché le fa sanguinare più facilmente. In tal senso, aiutano ad anticipare la diagnosi», ammette il dottor Goss.
Cosa fare quando il test è positivo?
«Innanzitutto va indagato l’intestino per ricercare eventuali tumori, angiodisplasie, diverticoli o altre anomalie. Per farlo si può prescrivere una rettosigmoidoscopia, un esame endoscopico che consente di visualizzare gli ultimi trenta centimetri dell’intestino, per cui è limitato a sigma e retto. Decisamente più appropriata e completa è la colonscopia: quella tradizionale si avvale di nuove preparazioni a basso volume, più facili da assumere, e di sedazioni leggere che riducono il fastidio al paziente», descrive il dottor Goss. «In alternativa si può sfruttare la colonscopia virtuale, che si svolge come una qualsiasi Tac dell’addome e consente di studiare il colon senza introdurre l’endoscopio a fibre ottiche. Si tratta di un buon esame, ma con alcuni limiti: può non visualizzare le formazioni inferiori ai 5 millimetri e i polipi piatti, che aderiscono completamente alla mucosa e sono quelli più a rischio di evolvere in tumori intestinali». Se queste indagini risultano negative, si passa a indagare il tratto alto dell’apparato digestivo con una gastroscopia, andando alla ricerca di ulcere, angiodisplasie, tumori o gastriti erosive: «Qualora risulti negativo anche questo esame, il quadro va approfondito con un’enteroscopia con videocapsula. Si tratta di una metodica di recente introduzione che consiste nel far “deglutire” al paziente una minuscola telecamera, grande quanto una pastiglia di antibiotico, che viaggia nel corpo filmando le pareti di esofago, stomaco e piccolo intestino, fino alla valvola ileocecale. Successivamente, un software di intelligenza artificiale analizza le immagini ottenute con la massima accuratezza diagnostica e segnala la presenza di eventuali lesioni».
Quando sottoporsi al test?
A partire dai 45 anni, è consigliabile sottoporsi a un test per la ricerca del sangue occulto nelle feci con cadenza biennale. «L’appuntamento si può anticipare quando esistono dei fattori di rischio noti, come la familiarità per tumori del colon-retto, la presenza di malattie infiammatorie croniche intestinali, il diabete di tipo 2 o una storia di poliposi adenomatosa familiare, una malattia ereditaria caratterizzata dalla presenza di numerosi polipi del colon», elenca il dottor Goss. «Ovviamente, a questo esame bisogna ricorrere anche nel caso in cui si insorgano alcuni sintomi sospetti, come una perdita di peso importante o un cambiamento improvviso nelle abitudini intestinali, così come quando viene riscontrata un’anemia inspiegabile».
Come si svolge l’esame delle feci?
La raccolta delle feci da analizzare si esegue utilizzando un contenitore sterile acquistabile in farmacia. «Soprattutto per i test eseguiti con i metodi immunochimici, non è richiesta una preparazione specifica: l’unica raccomandazione è quella di attenersi alle istruzioni di campionamento che vengono fornite al momento della consegna del dispositivo di prelievo», conclude l’esperto. Al contrario, in caso di tecnologie meno recenti, è possibile che vengano suggerite alcune avvertenze, come evitare – nei giorni precedenti al test – alcuni medicinali in grado di causare sanguinamenti, determinati alimenti (come carne rossa, rape, cavolfiore o mele) oppure la vitamina C (che può inibire la reazione ed essere causa di falsi negativi).
Un’ultima curiosità: in generale, andrebbero evitati gli interventi dentistici nei tre giorni precedenti la raccolta del campione perché, se le gengive sanguinano, l’esito dell’esame potrebbe essere positivo.
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